Chi è la vittima?

La Treccani dice chi è consacrato o immolato, chi perisce, chi soccombe.

L’etimologia pare essere oscura, forse perché se vivi, e questo accade da sempre, prima o poi lo sarai.

Non raccontatemi altre storie, arriva il momento per tutti di essere vittime, di qualcosa, di qualcuno, della vita. Non fosse altro che ci tocca morire. Anche chi soccombe a se stesso è vittima. Paure, abitudini, aggressività, l’elenco è lunghissimo.

Ma allora qual è il punto?

La vittima è chi non l’ha capito e persevera.

A volte c’è il crogiolarsi in questo mare come una sorta di zona di conforto dolorosa, fastidiosa, pruriginosa eppure maledettamente stabile. A volte no. A volte e forse la maggior parte delle volte il problema sta nel perseverare.

Sempre la Treccani, dice che perseverare viene da severus «severo», è il mantenersi fermo e costante come se a muoversi ci fosse più morte. Ma se ci fosse più morte ci sarebbe altrettanta vittima. E invece io credo si abbia paura del vuoto, del nulla.

E quindi?

Quindi niente. Chi sa gestire il vuoto e il nulla? Abbiamo inventato di tutto per andare oltre il vuoto.

Forse ci resta solo il movimento.

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Essere madri non vuol dire prendersi cura di

9 maggio 2021. Come ogni anno arriva puntuale la festa della mamma. Una buona cosa con il culo che si fanno.

Poi come ogni anno ci siamo noi, le non madri.

Ognuna, in quel giorno, adotta la sua strategia. Io non faccio gli auguri nemmeno a mia mamma, al massimo ho parole d’amore per le non mamme, me ne frego la maggior parte del tempo ma dovrei evitare i social perché poi mi innervosisco. Fra non mamme, ci mandiamo letture interessanti che plachino il nostro disagio. Dovrò parlare di questo disagio perché è immancabilmente frainteso.

Ma comunque, l’aspetto che mi irrita di più è che ogni volta si associa la madre al prendersi cura di; lo fanno e lo scrivono le madri e le non madri.

Le non madri dicono di avere una forma diversa di maternità perché si prendono cura di una pletora di soggetti: nipoti, alunni, animali. Anche prendersi cura della casa è essere madri, no? NO.

è un barbaro concetto patriarcale, di cui dovremmo liberarci una volta per tutte.

Essere madri è per natura essere generative, generare. Se non generi fisicamente, lo puoi fare in mille modi diversi e sentirti dunque madre. Lo può fare anche un uomo, dunque.

Prendersi cura è un ruolo sociale che spetta a chiunque abbia questa attitudine ma non è riservato alla donna e tantomeno la rende per questo madre. Lo può fare chiunque: uomini, donne, anziani, bambini, adulti, immigrati. è un ruolo importantissimo e al momento direi ingrato perché poco valorizzato, economicamente valorizzato. Non dovrebbe essere un ruolo individuale come succede oggi, ma comunitario; le persone non dovrebbero essere lasciate sole a prendersi cura di. Ma anche di questo ne parlerò un’altra volta.

Del generare si diceva. Ed essere madre vuol dire generare. Ed è molto più difficile di prendersi cura. Ecco, generare è sempre un atto individuale. Non è solo generare una vita umana ma anche un essere umano, un’idea, un progetto artistico e così via. Richiede tantissimo sforzo, attesa, pazienza, attenzione, cura di sé… tutto quello che serve per partorire una vita umana serve per generare.

E allora donne, volete essere madri? Generate.

Anche vuoi uomini potete, e potete pure prendervi cura e inserirvi in un contesto sociale per questo. Cosa aspettate?

il criceto e il leone

photo @nerugiada – Sudafrica 🇿🇦

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Ho sempre pensato di essere una che si dà da fare.

Oggi per la prima volta ho capito cosa vuol dire “finisco subito per fare altro“, “sai mi piace avere tanto tempo libero”.

Pensavo di essere come Madame Curie, sempre china e intenta nei suoi esperimenti, sempre indaffarata; e invece mi scopro ad essere al massimo il suo criceto di laboratorio. Un continuo affaticarsi dentro al laboratorio di qualcun altro a correre su una ruotina di plastica forse nemmeno bpa free.

Il leone invece dorme tutto il tempo, fino al salto, alla zampata sulla preda che non cerca nemmeno, è tutto lavoro della fida leonessa.

Quindi la sottile differenza fra fare, far fare e agire mi sta mandando ai pazzi. Chi sono io? Dove mi trovo e soprattutto, l’attenzione a quale gradino della mia scala evolutiva è?

la più grande…bugia non vi salverà!

Ho letto “La più grande”, un libro di formazione scritto da Davide Morosinotto, pubblicato da Rizzoli, proprio sull’onda di entusiasmo di amici e librai che mi piacciono.

Mi piace leggere libri di formazione che sono destinati a un pubblico giovane, perché mi pace capire quale mondo gli adulti propongono loro, con quali figure solleticano la loro immaginazione.

È un libro piacevole che si legge in un attimo.

Tuttavia per me è un grande no.

Per alcuni motivi ma uno in particolare. Si narrano le vicende di Shi Yu, piratessa, e si pompa sul fatto che la storia è ispirata alla vita di Ching Shih, che comandò la più grande flotta pirata di tutti i tempi. Ora, a parte il fatto che sono due piratesse, Ching Shi e Shi Yu hanno poco in comune. Ching Shih inizia le sue avventure come prostituta, Shy Yu come cameriera.

Ching Shih ne vede e ne fa di ogni, Shy Yu ne subisce di ogni ma con il potere della volontà diventa la più grande, con una sfilza di valori positivi ed encomiabili da qui a Babilonia.

Bastava dire che volevamo raccontare una cenerentola moderna vissuta nel 1700 e ci avremmo creduto lo stesso.

Insomma sto dalla parte di Ching Shih. Non vergognatevi di lei.

essere adulti

Se ci penso, l’essere adulti sta tutto nel saper aspettare. Non il momento giusto. Non qualcuno o qualcosa, quello potrebbe avvicinarti al deserto dei tartari. Aspettare.

Puoi essere adulto in qualcosa e bambino o bambina o adolescente in altre e lo capisci in relazione a quanto sai aspettare.

Ci hai mai pensato?

Non mi puoi dire che non aspetti più niente, queste sono cazzate che ci raccontiamo. E poi non è questo il punto.

Non c’entra non stare nella pelle, perché puoi non stare nella pelle e avere la forza di aspettare.

Ma aspettare cosa? chi? e potrei aggiungere la sfilza di dove? quando? perché?

Aspettare gli altri, aspettare te quando ti fai fretta o gli altri che ti fanno fretta, aspettare che le cose si instradino prima di scapicollarsi a modellarle come le vuoi, le pensi giuste, chè magari la vita ti sta aiutando. Cose così.

E non è un aspettare che non inizia mai e posticipa sempre. È l’aspettare prima dell’azione. È l’aspettare per amore. È l’aspettare della pausa di silenzio prima della sinfonia. Ferma l’immagine sulla tigre che ti guarda e ti aspetta. Chi si salverà?

che senso ha leggere

Se mi chiedi perché ho iniziato a leggere, è stato per il suono. La voce di mia sorella che mi raccontava di cerbiatti.

Se mi chiedi perché ho continuato a leggere, è stato per le immagini. Una storia di bambini in una fattoria.

Se mi chiedi perché ho insistito a leggere, è stato per trovare le parole. E per quante ne legga, per quante ne trovi, per quante ne cerchi, non c’è modo di comunicare in modo preciso.

È che le parole arrivano dopo, attraverso il suono, attraverso le immagini. Solo dopo le parole, il significato, quelle lettere. Prima arriva il caos e prendi quello che c’è.

photo @nerugiada

Non sottovalutate i padri

Qualcuno ne ha scritto, dei padri. Ma forse dei padri se ne parla di più, e con più sincerità, sui lettini dei professionisti.

È un ruolo mai abbastanza sviscerato. I padri contano eccome, in tutta la loro presenza e assenza.

Recentemente, ho avuto modo di sviscerare la figura del padre nelle sue diverse forme, padre biologico, padre putativo, padre di fatto, padre di altri, maschio alfa, nel libro di Trent Dalton: Ragazzo divora universo. E ho trovato questa frase che non avevo mai letto prima.

“Ultimamente, Alex, ho pensato che ogni problema al mondo, ogni crimine commesso, si può far risalire al padre di qualcuno. Rapine, stupri, terrorismo, Caino che aggredisce Abele, Jack lo squartatore: tutto risale ai padri. Forse anche alle madri, immagino, ma non c’è mamma di merda al mondo che prima non sia stata figlia di un padre di merda”.

photo by @nerugiada – Stellenbosch Oude Libertas

Ragazzo divora universo

Ragazzo divora universo è un libro che mi ha regalato il mio amico Myskin per un non compleanno. Ti piacerà, mi ha detto, visto che a te piacciono le storie e le parole e le due cose sono inscindibili.

Ci ho messo molto a leggerlo e non perché Myskin mi abbia detto una bugia. Certo sono 548 pagine ma non vi deve spaventare questo. È il meno.

Questo libro parla di un bambino cazzuto. Come avrebbe potuto l’autore, Trent Dalton, diversamente, se vuole tirare fuori una buona storia? Chi vuole leggere dei vinti che restano vinti in un mondo di tristezza e sgomento?

E parlando di gente cazzuta, mi è venuto in mente un film che non mi è piaciuto molto, dove Hugh Grant dice che è stanco dei film con protagoniste donne cazzute e fa infuriare la paladina di Jane Austen. Ed è stranamente vero che da un po’ di tempo al cinema ci sono donne cazzute ma forse abbiamo imparato a combattere i cliché con altri cliché o forse no. Ti accorgi di qualcosa solo quando ne parlano, e allora, che dire di Rossella O’Hara? Posso dire che Rossella ha rimandato a domani mentre queste donne di oggi non rimandano mai. Ma come è facile abbandonarmi a un facile cliché.

L’ atmosfera è la periferia australiana. All’inizio, ti chiedi ma dove sono finita? però alla fine quasi senti quei posti. Quasi sei contenta di non viverci. È un mondo duro quello descritto ed Eli Bell, il nostro bambino cazzuto, non è un cliché. Ho fatto fatica ad accettare il suo mondo, ho dovuto prenderlo a piccole dosi. È un mondo ingiusto; io, per molto meno, ancora credo di poter mettere sul piatto traumi antichi, mentre lui li attraversa e li sputa come ossa di pollo. Non potevo accettarlo.

Ragazzo divora universo è un bel libro. Sarà fonte di alcune mie citazioni, che ho segnato meticolosamente sulla risguardia. Non solo le citazioni ma tutto il libro è pieno di vita. E alla fine aveva ragione Myskyn, è una bella storia che ha parole precise, puntuali con personaggi pazzeschi che non sai che farne, non sai se amarli odiarli o cosa. È vita.