recensioni lusinghiere sull’ultimo film di soldini “cosa voglio di più”.
che bello.
ci ho portato gli amichetti recalcitranti. hanno detto che mi avrebbero frustato se non fosse stato interessante. non mantengono le promesse per fortuna.
due o tre cosette a cui ho pensato vedendo questo film.
uno. ad andare a cercare i nessi.
me undicenne. mi sono vista uscire dalla mia camera mentre canto a squarciagola “hai ragione anche tu, nananananàààà, cooooosa voglio di più, nanananàààà, un lavoro io l’ho nananananàààà” e arrivare davanti a mia mamma con i pugni chiusi le braccia alzate, la testa un po’ piegata, guardarla e continuare con la facciaaccartocciata “se tu non hai mai visto un uomo piangereeeeee, guardami, guardamiiiii, voglio aaaaannaaaaaaaa, voglio anna”.
due. ad andare a cercare le location.
il film è ambientato a milano e nell’hinterland. e già questa ultimamente mi pare una mania ché milano sta diventando un set, ma perché?
appena seduti, abbiamo sporto le tesotolone dalle poltroncine scomode -l’unico difetto dei cinema dell’hinterland a parte il freddo e l’audio ma qui ci sarebbe da aprire un capitolo e ora no, non è il caso-, dicevo, ci siamo sporti a guardare l’amico cipì sussurrando a voce alta ma è casa tua! cipì un po’ pensieroso ha chiosato con ehcazzo ecco cos’erano tutti quei camiòn sotto casa! quando si dice la perspicacia. cipì è uno che notoriamente si fa i fatti suoi e anche se gli passa accanto la regina d’inghilterra abbozza solo un cenno con la testa come a dire sì ma adesso non mi scocciare e se è in luna buona può anche tirare fuori un ‘alve.
tre. ad andare a cercare le amicizie che contano un piffero.
anche fulì vanta legami col regista. alla fine dell’aneddoto mi sono scocciata. dopo dieci minuti per me guardare sto film è stato come andare dalla vicina a faredu chiacchiere.
quarto. ad andare a cercare la trama del film.
allora. mettiamola così. è una storia che non fa notizia ma che diresti quanto è vera. di cosa si parla quando se ne parla?
di lui che ha due figli, pochi soldi e le solite responsabilità.
di lei che ha un fidanzato brutto, bravo e buono, ha un lavoro, soprattutto ha una sorella che fa un figlio con un uomo poco attento e solo allora, solo allora -che poi è l’inizio del film- scatta l’occhio di bue su di leiprotagonista a chiederle: ma allora tu che aspetti?
finisce che lei e lui s’incontrano per caso e altrettanto per caso s’innamorano. scopano alla grande ma dicono che più di tutto si amano. di relazione affettiva se ne vede poca a parte quella sessuale. peccato che poi vadano in paranoia per il senso di colpa che si portano addosso.
corollario al punto quattro.
sì soldini ci ha mostrato una realtà comune. tragica? forse, ma non tanto. sì soldini pare non dare un giudizio e invece lo fa. un giudizio da morale perbenista. perché non è vero che emerge quanto la passione o il desiderio sia più forte di tutto. emerge in modo sconcertante il senso di colpa. è vero che molti uomini scappano quando i figli sono piccoli perché non ci stanno dentro, è vero che se una donna non vuole fare un figlio con un uomo è perché non vuole quell’uomo anche se ci sta bene. ma è vero solo in parte.
perché la realtà è molto più variegata di così.
ci sono altre fughe, altri amori, altri motivi giusti per prendere in mano la propria vita.
non ci sono slanci per i nostri protagonisti.
avrei voluto più visione. avrei voluto più respiro per il film.
cinque. ad andare a dare i giudizi a muzzo.
o soldini è stato bravo a raccontare una società così come si vuole vedere -perché solo raccontandosi è più facile andare avanti-, oppure avrebbe potuto raccontare una storia più aperta così come è la vita. tipo quella vera di frank lloyd wright e mamah cheney come la trovate nel libro “mio amato frank” di nancy horan.
sei. a voler fare la maestrina.
a soldini dedico la prefazione di henri laborit al proprio libro “elogio della fuga”.
“quando non può più lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa (il fiocco a collo e la barra sottovento) che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. la fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. e in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte dalle acque tornate calme. rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l’illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione.
forse conoscete quella barca che si chiama desiderio“.
sette. a voler parlare di me.
io che sono una che resta sono fuggita un sacco di volte. a ben guardare direi che mai fuggo per paura, mi dico che è per la giusta distanza. di solito la paura mi fa restare, soprattutto immobile. è che cerco la giusta distanza da tutto anche da me.