La Treccani dice chi è consacrato o immolato, chi perisce, chi soccombe.
L’etimologia pare essere oscura, forse perché se vivi, e questo accade da sempre, prima o poi lo sarai.
Non raccontatemi altre storie, arriva il momento per tutti di essere vittime, di qualcosa, di qualcuno, della vita. Non fosse altro che ci tocca morire. Anche chi soccombe a se stesso è vittima. Paure, abitudini, aggressività, l’elenco è lunghissimo.
Ma allora qual è il punto?
La vittima è chi non l’ha capito e persevera.
A volte c’è il crogiolarsi in questo mare come una sorta di zona di conforto dolorosa, fastidiosa, pruriginosa eppure maledettamente stabile. A volte no. A volte e forse la maggior parte delle volte il problema sta nel perseverare.
Sempre la Treccani, dice che perseverare viene da severus «severo», è il mantenersi fermo e costante come se a muoversi ci fosse più morte. Ma se ci fosse più morte ci sarebbe altrettanta vittima. E invece io credo si abbia paura del vuoto, del nulla.
E quindi?
Quindi niente. Chi sa gestire il vuoto e il nulla? Abbiamo inventato di tutto per andare oltre il vuoto.
Forse ci resta solo il movimento.
